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Is arestes e s'urtzu pretistu

Is Arestes e S’Urtzu Pretistu  di Sorgono

L’uomo  ha sempre prestato le sue attenzioni agli avvenimenti che madre natura decretava e decreta con ritmi ciclici che si possono definire eterni, e a cui ha legato le sue paure ma anche le sue speranze facendone una religione verso un dio al quale rivolgersi: Dionisio Mainoles, (Maimone in Sardegna) divinità della vegetazione e dell’estasi, al quale si chiedevano piogge abbondanti perché la terra desse i suoi frutti. Il nome di Maimone in Sardegna è rimasto legato, a fonti e corsi d’acqua.  Questo Dio fonte di vita per uomini e bestie era assai venerato da pastori e contadini. A Sorgono  e in altri centri abitati quando arrivavano le calende di gennaio, si facevano le manifestazioni  rituali in suo onore, rappresentando i momenti più salienti della sua morte.

Il rito è antichissimo, sicuramente precristiano.

La rappresentazione rituale avveniva nelle calende di gennaio: uomini vestiti di pelli, carichi di ossi animali, col volto annerito dal sughero bruciato o coperto con una maschera nera, catturano e sacrificano la vittima predestinata, che viene generalmente presentata sotto forma di capro, toro, cervo cinghiale, tutte ipostasi o manifestazioni di Dionisio che sotto questi aspetti si manifestava. Qualunque sia l’origine più remota di questa manifestazione, è certo che negli scritti di Sant’Agostino (IV secolo d.c.) vi è una sicura testimonianza dell’esistenza  di  maschere ferine e  animalesche: ”Quale persona sensata potrebbe credere che vi siano degli individui sani di mente che si mascherano da cervi cambiando il proprio abito con quello delle bestie? Alcuni indossano pelli di pecora e di capra, altri si adattano sul capo teste di animali, felici ed esultanti, se riescono a trasformarsi in forme bestiali tanto da non sembrare più uomini” e poi: “si vestono con abiti bestiali simili alla capra e al cervo per farsi ad immagine del Dio, e resisi somiglianti fanno un diabolico sacrificio”. Intorno al IV secolo, esistevano dunque maschere ferine o animalesche, tenace perdurare di evidenti manifestazioni pagane. Il mascherarsi con sembianze di animali, appariva agli occhi dei padri della Chiesa e dei rappresentanti del culto cristiano come un sacrilegio. Infatti  il Concilio di Auxerre (585 d.C.) emanò una disposizione che vietava queste  manifestazione rituali: non licet kalendis ianuarii vetola aut cervolo facere vel strenas diabolicus. Nonostante l’opera di evangelizzazione da parte degli ordini ecclesiastici, le cerimonie rituali si ripetono nei secoli, ancorché molti popoli, pur essendosi convertiti al cristianesimo, si mascheravano in forme animalesche al giungere delle calende di gennaio, riproponendo gli antichi rituali propiziatori pur consapevoli che tale cerimonia  proveniva da una religione pagana.

Ancora nel XVIII secolo secondo le testimonianze del frate gesuita Bonaventura Demontis Licheri di Neoneli e del padre Gesuita Giovanni Vassallo tali riti ancestrali venivano ancora celebrati. In molti paesi del centro Sardegna, nelle calende di gennaio si praticavano rituali propiziatori con sacrifici umani Il fatto non desti  meraviglia se si considera l’isolamento secolare e la resistenza delle popolazioni delle zone interne della Sardegna a cambiare le loro credenze, inoltre l’economia agropastorale legata alle annate agrarie e allo spettro della siccità. Nei suoi scritti ”Attobios a Santu Mauru d’Ennarzu” (poesia in lingua sarda) in occasione dei festeggiamenti in onore di San Mauro Abate a Sorgono (Santu Mauru de i Dolos) il 15 Gennaio del 1767, descrive in modo sorprendentemente chiaro la rappresentazione e  le dinamiche  del rituale pagano e di coloro che vi partecipano. Il santuario di San Mauro, a pochi chilometri da Sorgono,  sorge ai piedi di Monte Lisai in una vallata ricca di testimonianze del periodo neolitico e del periodo  nuragico; a poca  distanza è presente il complesso sacro di Bidu ‘e Concas  con i suoi 200 menhir (3000 a.C.) e  luogo di culto delle popolazioni  nel periodo prenuragico e nuragico. 

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Il Licheri chiama le maschere  “Sos Arestes” gli agresti, i selvatici.

Sos Arestes, indossano  una pelle di capra, pecora  e mucca, sul dorso portano gli ossi di animali, il capo è ricoperto da un copricapo in sughero detto su casiddu, foderato  completamente di pelle lanosa e  sormontato di corna di caprone, di daino, cervo e toro, con il viso e le braccia annerite da fuliggine prodotto dal sughero bruciato. Essi sono armati di bastoni possenti, di mazze di legno e di forconi, si muovono con atteggiamento superbo, provocando con dei saltelli il suono apotropaico degli ossi che hanno legati sulle spalle, alcuni di essi hanno in dotazione un corno di bue, che suonano per tutta la durata

della cerimonia.

Avanzano in gruppo in modo apparentemente disordinato, mimano scontri evocando combattimenti o danze tipiche del corteggiamento delle capre o degli animali presenti, in realtà si tratta di antichi riti propiziatori per sollecitare la benefica pioggia. I Pastori anziani affermavano che quando le capre si scontravano, il tempo stava per cambiare e volgere alla pioggia.

In testa al corteo uno o due Arestes tengono legato con una catena la vittima predestinata al sacrificio: S’Urtzu, un uomo che indossa un’intera pelle di pecora, capra o toro, con il copricapo  sormontato da maestose corna di Toro ma che a differenza degli Arestes,  non ha ossi sulle spalle  e verrà percosso e pungolato  da tutti gli Arestes  del gruppo.

Il rito del sacrificio, culmina con l’uccisione de S’Urtzu, colpito a morte dai bastoni, forconi e mazze di legno degli Arestes. 

Al segnale del capo branco, gli Arestes effettuano intorno alla vittima, ormai inerme, tredici salti, il numero delle fasi  lunari  in un anno,  cadenzati dal suono del corno di bue;  al nuovo segnale del capobranco, che intanto tiene la vittima  legata al centro del cerchio, si tolgono il particolare copricapo evidenziando il volto annerito dalla fuliggine del sughero bruciato.

Sotto la pressione della chiesa il rito fatto dagli adulti si è  ridotto progressivamente ad una banale mascherata della quale  si era perduto il vero significato.

A Sorgono, le ultime testimonianze, di travestimenti di uomini  con la pelle di animali e con l’intera testa di toro, risalgono  agli anni 1925-’30.

Alcuni anziani oggi ricordano e raccontano ancora di uomini vestiti di pelle di pecora che tenevano incatenato un uomo vestito a sua volta con la pelle di mucca  e con l’intera testa di toro sul loro capo che cercava di dimenarsi e resistere.

Una ripetizione, un perdurare privo ormai di significato. Lo si fa perché lo si è conosciuto. Nella ripetizione dei riti antichi dei primi del ‘900 manca ormai il motivo profondo, interno, originario e veramente significante. Si mantiene una tradizione, si conserva un modo di agire, ma il modo di essere, la vera essenza si è ormai trasformata. La Chiesa, le innovazioni, il mutare dell’isolamento di queste zone, l’arrivo di elementi esterni, spesso anche alla Sardegna, nell’amministrazione, nel controllo del territorio, nella gestione delle cose religiose, l’arrivo di una cultura più diffusa con un lento ma inesorabile aumento della scolarizzazione, producono un abbandono fisiologico e normale di quanto era legato all’antichità, al mito e alla leggenda. Il passaggio culturale da rito a mito è segnato anche dal carnevalizzare (in senso ludico e giocoso) un rito. Tale passaggio si ha solamente nel momento in cui il rito ha perso ogni contatto e ogni significato col vivere sociale della comunità che lo esprime. Solo nel momento in cui molti di coloro che fanno parte della  medesima comunità non riconoscono più ciò che era segmento fondante della identità comune, e solo allora, quel segmento “cade” o “scade” a livello ludico per poi scomparire completamente.

 La riscoperta della maschera rituale è avvenuta grazie al lavoro di ricerca fatto dall’Associazione Culturale Mandra Olisai.

La sua presentazione ufficiale è avvenuta il 18/06/2011 in un convegno organizzato dalla medesima associazione alla presenza della Proff.ssa Dolores Turchi,nota studiosa di tradizioni popolari e autrice di numerosi studi sulle maschere rituali sarde,dal Dottor Luigi Serra ,studioso e profondo conoscitore della storia culturale e sociale di Sorgono e da Don Enrico Serra che in qualità di teologo ha curato l’aspetto religioso in relazione ai rituali pagani nei vari secoli.

La ricostruzione è avvenuta sulla base delle  informazioni comunicateci da alcuni anziani  del paese e alle informazioni  provenienti dallo scritto di Bonaventura Licheri.

In su Coro d'ennarzu

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IL DOCUMENTARIO:
Un viaggio nel cuore della Sardegna, a Sorgono, per raccontare la scoperta delle antiche maschere, is Arestes e s'Urtzu pretistu, e i loro misteriosi riti. Un percorso affascinante a ritroso nel tempo per ritrovare l'animo più profondo di una comunità che vuole riappropriarsi del suo passato per guardare con fiducia al proprio futuro

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IL CORTOMETRAGGIO:
Nel 1767 Papa Clemente XIII, stanco delle continue lamentele dei vescovi sardi, invia sull'isola un anziano gesuita, padre Giovanni Vassallo, per cercare di estirpare una volta per sempre quei riti pagani che le genti dell'interno si ostinavano a praticare frammisti ai culti Cristiani. Giovanni Vassallo veniva accompagnato da Bonaventura Licheri, un giovane sacerdote e poeta di Neoneli.

B.L. Atobios (1767)

Santu mauru d’ennarzu

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Oe Mauru santu,

la festat su montarzu,

in su coro d’’ennarzu,

de sa niada.

 

Candida temporada,

sos poveros a trumu,

tra sa chisina e fumu,

pregadoria.

 

S’andat peri sa via,

cun sos frades preghende,

pro dies caminende,

e firmos mai.

 

A Mandara Olisai,

a fagher sa promissa,

amantada “Sa Frissa”,

totu coberta.

 

Dolorosa sa ferta,

de chie suferente,

andat ca est credente,

e sen’isetu.

​

​

Tue Vassallu deretu,

faghes de cossizeri,

a chie feri-feri,

no at caminu.

 


​

Forte pones in sinu,

sa peraula santa,

e li restas acanta,

pro seguresa.

 

Sa zente sorgonesa,

povera ma unida,

pro sa die nodida,

est servidora.

 

Est totu note fora,

a ballu e a cantone

e in su fogulone,

Sun “Sos Arestes.

 

Tramudados cun bestes,

d’erbeghe, craba e bacca,

sos sonos de matraca,

giughen in palas.

 

Che sas animas malas,

cun cuerros corrudos,

fin’a tuju lanudos,

andan superbos.

 

Guighen corros de cherbos,

craba, bo’e crabolu.

de note andan a bolu,

poderan s’urtzu.

Ligadu est a curtzu,

est un’anima in pena,

in chint’una cadena,

insangrestadu,

 

Iscutu e pistadu,

Sos Arestes a ballu,

tue frade Vassallu,

no ti retiras.

 

Amonis e t’airas,

cundennas e lis noghes,

e cun tronosas boghes,

firmas su male.

 

Che corpos de istrale,

su meschinu difendes,

pro nudda no t’arrendes.

los iscufessas.

 

Dae raighinas messas,

cun sa sabidoria,

cun sa pregadoria

divinu cantu.

 

Oe Mauru santu

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